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INTERVISTA
Anna Bernasconi
candidata per l'Ulivo alla Camera
Combattere l'aborto senza nasconderlo; affermare il principio della laicità dello Stato; difendere le tutele sociali dei cittadini: queste le linee guida della combattiva candidata del Centrosinistra.
a cura di Sandro Invidia

Anna Bernasconi
Senatrice Bernasconi, oggi il Corriere della Sera propone 5 domande sulla sanità da fare ai candidati dei due schieramenti. Lei è un medico, prima di essere un politico: le va di accettare la "sfida"?
Certo
Le domande riguardano la riforma Bindi, i trapianti, l'aborto, l'eutanasia, i prezzi dei farmaci. Da dove cominciamo?
Dalle più spinose: l'aborto, senz'altro. Anche se non sarebbe un tema da trattare in campagna elettorale
Perché?
Si tratta di argomenti delicatissimi, su cui ci sono posizioni che travalicano le appartenenze di schieramento. Ogni singolo parlamentare può esprimere un voto di coscienza. Ma sono anche argomenti su cui è facile una distorsione del problema.
Mi faccia capire
Per esempio, l'adesione chiesta dal Movimento per la vita sull'embrione-persona come strumento di difesa del concepito è fuorviante. Il concepito, l'embrione, è già tutelato in quanto tale come se fosse persona, ma non è assimilabile a chi è già persona, cioè il nato. Questa impostazione del problema serve solo ad annullare surrettiziamente la legge sull'interruzione di gravidanza. Confermo pertanto che argomenti così delicati devono essere lasciati fuori dagli opportunismi di una campagna elettorale.
Sì, ma i suoi elettori potenziali possono voler sapere qual è la sua posizione in merito
Io difendo la legge attuale. La legge sull'interruzione volontaria di gravidanza ha permesso di controllare il fenomeno dell'aborto. Ha anche permesso di colloquiare con la donna che decide di interrompere la gravidanza. Soprattutto ha affermato il principio in base al quale la decisione ultima spetta alla donna ed è insindacabile.
Consideri che con questa legge siamo riusciti da una parte a far uscire l'aborto dalla clandestinità; dall'altra parte a dare strumenti educativi per una maternità libera e consapevole, che è una grande conquista, anche per il nascituro. Ma ancora: questa legge consente di salvare vite di donne e, senza coercizione e senza imposizioni ideologiche, consente anche di responsabilizzare maggiormente la donna verso la maternità.
La legge 194 ha permesso di controllare il fenomeno dell'aborto, come dicono i dati che attestano una costante, evidente diminuzione che il Centrodestra fa finta di non conoscere.
Se dovessi sintetizzare la mia posizione, potrei dire: bisogna combattere fortemente l'aborto, non nasconderlo.
 
Anna Bernasconi


Nata e residente a Monza, medico dell'ospedale San Gerardo.
Impegnata in politica da molti anni come consigliere comunale a Monza,
deputata nella X legislatura, senatrice nell'ultima legislatura.
Attività parlamentare prevalentemente sui temi della sanità, della donazione, dell'infanzia, dell'assistenza.
Promotrice di un'azione comune tra le donne parlamentari e le associazioni contro il tumore del seno.

Una di voi.
Abbiamo lo stesso linguaggio
e gli stessi obiettivi.

Lei pensa che la Casa delle Libertà, qualora esca vittoriosa dalla competizione, adotti, in materia, politiche simili a quelle dell'attuale presidenza statunitense?
Sicuramente: questi se vincono ci portano indietro di vent'anni. Non solo: ributtano la donna nella sua solitudine e l'aborto nella clandestinità. Perché sia chiaro: l'aborto è comunque praticato e noi dobbiamo sconfiggerlo.
Fuoriesco un attimo dal tema. Parlando di aborto lei cita dati confortanti che il Centrodestra farebbe finta di ignorare. Anche sulla criminalità si è verificato un fenomeno analogo: i dati ufficiali dicono una cosa, il Centrodestra un'altra
Sì: il cittadino ha più paura, malgrado i dati positivi sull'andamento della criminalità; anche qui a Monza. Lo ha dichiarato Ferrante (il prefetto n.d.r.): scippi e furti in casa sono diminuiti. Il cittadino è obiettivamente più sicuro.
Ciò non ci autorizza, comunque, a sottovalutare il fenomeno. Questa insicurezza diffusa richiede risposte. L'importante è non andare sul loro terreno. Se uno mi dice: "io ho paura che mi crolli la casa in testa" e la casa è solidissima, non ha senso che io faccia ugualmente lavori di ristrutturazione.
Rimane comunque indispensabile attivare mezzi e strumenti per garantire sicurezza ai cittadini. È quello che abbiamo fatto. Aver inasprito le pene per reati come il furto in casa e lo scippo, non considerandoli più alla stregua del semplice furto, ma come atti di reati specifici, è stata una scelta politica in questa direzione. Così come lo sono le nuove norme di detenzione per chi ha reiterato il reato; nella stessa direzione vanno i poliziotti di quartiere, l'impiego sul campo di un maggior numero di poliziotti effettivi, la generale riorganizzazione delle forze di polizia…
Ma poi c'è un discorso più basilare da fare: a me non piace lo stato di polizia; avere troppi poliziotti armati per le strade può essere altrettanto pericoloso: può indurre il delinquente ad armarsi sempre di più.
Quello che davvero occorrerebbe assicurare, oltre all'efficienza delle forze dell'ordine, è la rete di protezione sociale, quella del quartiere, del commerciante sotto casa, del bar… è questo l'unico tessuto di protezione che agisce capillarmente. Bisogna salvaguardare la vita di quartiere, il reale tessuto umano delle nostre città.
Sembra, invece, che certe scelte politiche conducano da tutt'altra parte!
Ai centri commerciali, certo!
Alt! Il discorso qui rischia di portarci lontano. Atteniamoci alle domande proposte dal Corriere. Parliamo di eutanasia
D'accordo. Partiamo da un'affermazione di principio: in uno stato laico la vita di ciascuno di noi è disponibile!
Su questo concordano tutti. Solo la Chiesa cattolica dice il contrario.
Per un'etica laica, la vita è disponibile. Sono io che decido. Tanto è vero che non ci sono trattamenti sanitari obbligatori, a meno che non si tratti di malattie diffusive: in questo caso, però, agisce un altro principio, quello della salvaguardia della collettività.
Un altro esempio: lo sciopero della fame si può fare e nessuno può intervenire. Lo stesso magistrato si fa scrupolo ad ordinare un trattamento coatto.
Io posso fare quello che voglio della mia vita.
Detto questo, precisiamo che in Olanda, in caso di ricorso all'eutanasia, è solo e sempre il soggetto che decide. Il problema sorge nel momento in cui qualcuno deve aiutare il malato terminale a rendere effettiva la propria volontà. Certo, l'altro ha il diritto di fare obiezione di coscienza. Ma sfatiamo il discorso che il soggetto non può disporre della propria vita, perché questo non è vero.
Da come si è presentata la cosa, specie su certa stampa orientata politicamente ed ideologicamente, sembrava che lo Stato si arrogasse il diritto di decidere quando interrompere la vita del cittadino.
Si tratta di disinformazione. Nessuno può intervenire sulla vita degli altri. È il soggetto che decide, chiedendo aiuto agli altri.
Se qualcuno proponesse in Italia una legge come quella olandese?
È stata già proposta: si va tranquillamente in Aula e ci si confronta, ma con molto equilibrio da parte di tutti, evitando distorsioni faziose per sostenere ragioni ideologiche. Ad esempio, alcuni non distinguono tra eutanasia e richiesta di sospensione dell'accanimento terapeutico, sospensione alla quale la popolazione è fortemente favorevole. Su questo argomento le colpe dei medici sono tante.
Oppure, alcuni si oppongono all'uso della morfina, anche quando la morfina è l'unica soluzione in grado di alleviare le sofferenze del malato. Per noi, la qualità di vita è un fondamentale obiettivo di terapia quando non abbiamo più strumenti curativi.
Resta, comunque, il fatto che qualunque decisione spetta al paziente, non al medico.
Passiamo ai trapianti ed alla legge sul silenzio assenso. Celentano dice che è grazie a lui che oggi se ne parla
Celentano è presuntuoso, irresponsabile e ignorante.
Presuntuoso, perché pretende di catechizzare la gente. Per fortuna il cittadino non è così stupido.
Ignorante, perché non sa che la legge sul silenzio assenso esiste in Italia dal 1975. È una legge vecchia di 25 anni, con un grosso difetto: diceva che solo chi si opponeva esplicitamente non poteva essere considerato donatore. La novità, oggi, è che il cittadino viene informato della cosa!
Mi faccia capire: quello che è cambiato, quindi, è che il cittadino adesso sa che, se non esprime dissenso, i suoi organi possono essere espiantati?
Esatto. Il principio del silenzio assenso è un principio sacrosanto: occorreva, però, rafforzarlo con l'informazione.
Ma la colpa più grave di Celentano è un'altra: ha messo in dubbio la realtà della morte cerebrale. Ha detto: "io mi sveglio e mi ritrovo senza un braccio". Il messaggio è delinquenziale, perché vuol dire che i medici, per fare i trapianti, hanno ammazzato dei vivi. Non è affatto così perché prima di prelevare un organo ci deve essere il certificato di morte sottoscritto da tre medici e se il cadavere non è sottoposto a prelievo per trapianto viene seppellito. La realtà di morte cerebrale ci è costata anni di convincimento. Era la base principale di opposizione al trapianto. Oggi la morte cerebrale non solo è criterio accettato in tutto il mondo ma è entrata anche nella coscienza della gente. Persino nella Chiesa cattolica: nel 1985 la Pontificia Accademia delle Scienze ha dichiarato: "la morte cerebrale è il vero criterio di morte".
Il messaggio di Celentano è di un oscurantismo che non ha paragoni. Persino le forze meno favorevoli ai trapianti hanno smesso di dire queste idiozie!
Ora le leggo per intero la prima domanda proposta dal Corriere della Sera:
"Ritenete che vada conservata l'obbligatorietà del Servizio sanitario nazionale o progettate di puntare su forme di privatizzazione? La riforma sanitaria voluta da Rosy Bindi deve andare avanti?"
In tutti i paesi del mondo, tranne negli Stati Uniti, c'è un sistema di tutela integrale del cittadino da parte del servizio sanitario nazionale; oppure una tutela mista, con una parte assicurativa. Il servizio sanitario nazionale è sicuramente il più equo ed anche il più economico in assoluto. Negli USA hanno più del doppio del costo delle spese sanitarie: noi siamo al 6 per cento del PIL, loro al 12 per cento, con l'esclusione di 35 milioni di americani. Quindi è un sistema più costoso per una fetta minore di cittadini. Il sistema assicurativo è un sistema che non paga nemmeno a livello economico; oltretutto non è equo. Il servizio sanitario nazionale è l'unico che garantisce parità di diritti e di tutele a costi nettamente inferiori. In America, anche ad essere assicurato bene, avere una malattia importante significa spesso finire in povertà. Due anni fa sono stata negli USA per un congresso di bioetica. Ho contratto una banale infezione respiratoria. Tre giorni di terapia antibiotica mi sono costati 85 dollari: quasi 200.000 lire!
Parliamo della riforma Bindi
Lì abbiamo fatto un grave errore. Abbiamo permesso che tutta la discussione si appiattisse sulla polemica intra moenia - extra moenia. Giusto il principio, avremmo potuto trovare forme di mediazione… Soprattutto, avremmo dovuto pretendere che la controparte fossero i direttori generali e non i medici. Dovevamo obbligare il direttore generale, pena l'allontanamento, a creare gli spazi. Tenga presente che la possibilità di creare piccoli reparti per le attività libero professionali c'era. A causa di questo nostro errore si è persa la discussione su alcuni punti validissimi della riforma Bindi.
In primo luogo: la sanità si regge sulla programmazione. La politica programmatoria e non l'aziendalizzazione è quella che migliora la sanità e la fa costare anche meno. La Regione Lombardia ha rifiutato di fare il piano sanitario regionale. Quella specie di linee programmatorie che ha adottato si basano sulle proposte della singola azienda ospedaliera, della singola ASL. Ogni azienda, ovviamente, secondo una logica prettamente aziendale, ha programmato pro domo sua. Una programmazione seria, invece, deve tener conto di tutto il territorio. Dev'essere fatta da chi sa quanti ospedali vanno tenuti, quanti riconvertiti; quanta medicina deve andare sul territorio…
Qualcuno potrebbe dire: ancora centralizzazione!
Ma quale centralizzazione. La Regione deve fare la politica sanitaria del suo territorio, ma la deve fare insieme ai comuni. I comuni, invece, in regione Lombardia sono stati completamente esautorati dal centralismo regionale, non da quello nazionale. Non possono intervenire sulla politica sanitaria dei direttori generali delle aziende e della Regione. Invece noi diciamo: il programma sanitario regionale su ogni singolo territorio va fatto insieme ai sindaci che sono gli unici che hanno il polso dei bisogni reali dei cittadini ed espressione prima della collettività.
Questo la regione Lombardia non l'ha fatto, ma non solo. Ha fatto di molto peggio: ha privilegiato solo l'aziendalizzazione. Non si è preoccupata delle peculiarità proprie dell'azienda sanitaria. Oggi troviamo ospedali distanti anche 10-15 km che fanno parte della stessa azienda: questo ammazza qualsiasi programmazione. L'azienda di Vimercate comprende Desio, Carate, Seregno, Sesto S.Giovanni, Vimercate.
Come fa un'azienda a controllare ospedali che sono su territori completamente diversi?
Potrà fare un discorso di pareggio di bilancio, non certo di sanità.
Nella riforma Bindi l'azienda è un modo per gestire un'organizzazione. Ma l'aziendalizzazione non può essere la mission dell'azienda ospedaliera. Il pareggio di bilancio non è l'obiettivo dell'azienda. I servizi devono essere garantiti al di là dei costi. La managerialità deve essere il modo per rendere più efficiente il sistema, non può esserne il fine.
Ma l'autonomia è o no un principio della riforma?
Autonomia sì, ma sulle linee di programmazione. Una volta che i comuni insieme alla regione hanno concordato gli obiettivi e le articolazioni di quel territorio, l'applicazione di quegli obiettivi, anche con problemi di miglior uso delle risorse, competono al manager. Ma la linee e gli obiettivi non li decide il manager, che è un capo azienda.
I privati, in questa programmazione, come si inseriscono?
Siamo arrivati ad un punto cruciale della riforma: l'accreditamento del privato. Ci sono due criteri per l'accreditamento del privato:
Il privato che entra nel sistema pubblico, quindi, deve dare le stesse funzioni. Facciamo un esempio: se apro un dipartimento di emergenza e urgenza devo essere attrezzato anche per le emergenze. Alle spalle devo avere la radiologia 24 ore su 24, il laboratorio 24 ore su 24, la rianimazione, i medici di guardia 24 ore su 24 e così via. Invece succede, nella regione Lombardia, che alcune strutture private siano riconosciute per far fronte all'emergenza senza avere alle spalle tutti i servizi necessari in particolare per le emergenze gravi. Alcuni dati regionali, poi, suggeriscono che qualche struttura privata accreditata faccia una selezione in accettazione dei pazienti più "convenienti". Applicare la riforma Bindi significa, quindi, dire: volete entrare nel sistema? volete considerarvi pari agli altri? Attrezzatevi come tutti gli altri e dotatevi delle funzioni degli altri…
E il principio della libera scelta?
La regione Lombardia mistifica dicendo c'è la libera scelta. È una bufala: il cittadino per scegliere liberamente deve essere in grado di valutare le prestazioni. In sanità il cittadino si rivolge alle strutture private in base al criterio della rapidità. Il cittadino non sa se in una certa struttura privata le cose le fanno meglio, sa che le fanno prima. Ma in materia di sanità non può essere l'attesa il criterio di scelta! La libera scelta non è stata funzionale agli interessi del cittadino. È solo servita ad inserire massicciamente il privato.
Conseguenze?
Per logica di mercato, aumentando l'offerta è aumentata la domanda: c'è stato uno splafonamento mostruoso di costi, per cui la sanità lombarda, che era arrivata a fine governo (regionale) di centro-sinistra con 300 miliardi di deficit, in 6 anni è arrivata a 5.000 miliardi di deficit. A questo punto lo Stato non risponde più delle scelte: di conseguenza la Regione sta cominciando a decurtare e a far pagare.
La regione Lombardia ai pensionati ha tolto 50.000 lire per compensare i debiti. Per un sacco di prestazioni ha cominciato a mettere i tetti: più di tante non se ne possono fare. Ha ridotto il pagamento delle cardiochirurgie, ha ridotto i soldi alla psichiatria. Ieri sono andata all'associazione diabetici. È una piccola associazione, che ha sempre potuto contare su una sovvenzione di qualche milione annuo. L'attuale sovvenzione regionale è di qualche centinaio di mila lire!
Ma c'è di peggio: pensi a cosa è successo agli ospedali pubblici. Hanno soppresso 4.500 posti-letto del pubblico, ma ne hanno aggiunti oltre 2000 delle strutture private. Il risultato è comunque una riduzione di posti letto solo a carico delle strutture pubbliche!
Ma allora, questa tanto auspicata devoluzione porterà bene o male ai lombardi?
La devolution c'è già, ma è quella che non accetta la regione Lombardia in materia di sanità. La regione Lombardia vuol fare la devolution e intanto continua a chiedere allo Stato di ripianarle i debiti.
Ma in cosa consiste questa devolution già in atto?
Per il federalismo la sanità è fortemente regionalizzata, lasciando allo Stato il compito di definire le tutele: il cittadino deve essere tutelato in maniera uguale in tutto il territorio nazionale. Regionalizzare la sanità implica certo grande autonomia di programmazione e gestione ma anche responsabilità di spesa e risposta agli standard di tutela nazionale. Siccome, però, molte regioni, con la loro tassazione autonoma, non riescono a mantenere un livello decoroso di sanità per tutti, interviene il principio di federalismo solidale, per il quale le regioni più ricche contribuiscono a rendere la sanità uguale per tutta la nazione. Non è una sottrazione ad una regione, è una politica di tutela del cittadino che dev'essere uguale su tutto il territorio nazionale.
Ma la gente dice: non toccate i nostri soldi!
I lombardi, che pensano di essere così ricchi, farebbero bene a riflettere sul fatto che non potranno mai da soli mantenere la scuola, le strade, la sanità… non ce la faranno, perderanno le tutele, come sta già avvenendo. La regione Lombardia proporrà di tutelare la sanità per una certa fetta di prestazioni e di fare le assicurazioni integrative per l'altra fetta. Il cittadino lombardo pagherà di tasca sua una parte della sanità. E così sarà per la scuola. Non c'è nessuna regione completamente autosufficiente. La gente non è stupida: queste cose comincia a capirle.

Sandro Invidia
sandro.invidia@arengario.net




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7 maggio 2001